martedì 12 febbraio 2013

“Chi è STATO?”, di Fabio Pugliese, un racconto-inchiesta sulla strada statale Ionica calabrese del Prof. Rocco Taliano Grasso




Ho letto con attenzione e malinconia, anche perché mi sento parte in causa, il libro di Fabio Pugliese, questa Spoon River in chiave giornalistica della strada statale 106 con il suo triste corollario di vittime che l’autore snoda come un lungo doloroso rosario.
Mi chiedo cosa sia cambiato in questi 150 anni di celebrata unità d’Italia e a quali uomini abbiamo delegato la nostra rappresentanza, da destra a sinistra. E poiché ce n’è per tutti i partiti, ne ho dedotto che il problema è evidentemente etico e culturale. Siamo rappresentati cioè da gente generalmente e sostanzialmente indegna, che non ha voluto bene a questa terra e tuttora non gliene vuole, che vuole bene soltanto a se stessa e alle proprie rendite, in termini di poltrone e di soldi.
Etica e cultura sono fondamentali, una volta la questione morale si poneva come primaria e irrinunciabile, oggi è affidata a un pugno di magistrati eroi puntualmente attaccati e delegittimati dal potere politico e dalla stampa servile e snaturata.
Ora facciamo finta che ci troviamo in campagna elettorale e che si parli di politica invece che di candidature, Berlusconi, Bersani, Maroni, Rosy Bindi, Casini eccetera; suggerisco di parlare del Sud, dei nostri gravi problemi, della strada statale 106 e del ruolo che la nostra regione e il Sud potrebbero recitare nel contesto dei Paesi che gravitano sul Mediterraneo, ma non il Mediterraneo delle immagini taroccate delle proloco e degli assessorati, né quello degli spot della regione Calabria. Dico la geografia vera, quella in cui si svolge e spesso langue la nostra vita, quella della strada cosparsa da innumerevoli altari e fiori per ricordare i suoi e i nostri morti.
A proposito della viabilità alle soglie del XIX secolo, attenzione, alle soglie del XIX secolo, nel saggio Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni (Dedalo edizioni), si riporta quanto scritto da Raffaele De Cesare in un precedente saggio, La fine di un regno (Città di Castello 1909):
“Avanti che si costruissero le strade rotabili, cioè fino ai primi anni del secolo decimonono,si aveva l’abitudine di fare testamento prima di intraprendere un viaggio a Napoli. Le grandi strade per le Calabrie, le Puglie, gli Abruzzi, e per  lo Stato Pontificio segnarono una vera rivoluzione nel viaggiare…Le quattro grandi strade dette <consolari> somigliavano a fiumi senza affluenti, per l’assenza quasi assoluta di ogni viabilità locale…A dorso di bestie, o a piedi, si percorreva quasi tutto il Regno delle Due Sicilie!”.
Viste le tante croci seminate sulla SS 106, mi chiedo se non sia anche oggi il caso di far testamento prima di mettersi in viaggio su questa strada…
Leggo nel racconto-inchiesta di Fabio Pugliese:“Fabrizio prova compassione per la Calabria, la vede come un’area depressa, rinsecchita, un polmone al collasso, a cui vorrebbe offrire un po’ d’ossigeno.” Perché?
Il perché è detto con esaustività di cifre, documenti e resoconti giornalistici nelle pagine precedenti: una strada, cinquecento chilometri tra i più belli del Mediterraneo, che Montezemolo ieri sabato, visitando la Callipo,  ha definito più belli e promettenti della Svizzera, costata però alla Calabria centinaia di vite umane e di mutilati, una sorta di guerra continua capace con le sue vittime di sfiancare anche in termini produttivi la nostra regione. Si chiede il nostro Fabio quel che ci chiediamo tutti:
“Come è possibile che in Calabria, sul versante ionico, la principale arteria di comunicazione sia la strada statale 106 Ionica? Come è possibile che non esiste l’elettrificazione della rete ferroviaria e non c’è una vicinanza o una facile percorribilità verso gli aeroporti più vicini?“
Una rete colabrodo che diventa davvero “una proiezione più allungata di se stesso, della sua tristezza, della sua desolazione…un simbolo dell’isolamento e dell’emarginazione in cui è tenuto l’intero comprensorio ionico calabrese”.
Come sapete, nella tragedia si annida sempre la farsa,  così l’ANAS si permette pure di prenderci in giro convertendo motu proprio la 106 killer in itinerario internazionale, stradaE90
Un simbolo, dunque. Come dire che, non avendo una strada degna di questo nome, non può nemmeno esserci strada per i nostri giovani, per nessuno, se non lontano da qui. Difatti sempre ieri sabato sul “Quotidiano della Calabria”, in prima pagina per l’ennesima volta, un editorialista si chiede:
“E’ difficile per un ragazzo resistere alla tentazione di andarsene dalla Calabria. Forse si tratta piuttosto di un impulso, causato da ribrezzo,, timore, senso della realtà. Il lavoro è un miraggio, nella nostra terra. Uno fatica per diventare medico, avvocato, commercialista, farmacista o ingegnere. Poi prende il titolo e non sa dove sbattere la testa. Di solito comincia con i conoscenti, chiede, s’informa, si propone. Il mercato, si ripete, è saturo.”
Ieri a Trapani, sempre Sud, stessi problemi, stesse tragedie, l’ultimo suicidio di un operaio rimasto disoccupato; ha scritto: “Lo faccio perché senza lavoro non c’è dignità” e ha infilato il biglietto nella Costituzione, alla pagina del primo articolo in cui si recita che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro…
Il simbolo di questa pianta carnivora si incarna in un luogo simbolico, il Parco 106, creato a Badolato per commemorare con un albero le vittime della strada, iniziativa che rievoca quella di Crotone delle 200 croci con fiori e rosari piantate nei pressi del monumento ai fratelli Bandiera.
Ma Fabio fa di più. Ci racconta e documenta le assillanti e puntuali infiltrazioni mafiose nei lavori di ammodernamento di questa strada che culminano nel crollo della galleria Sant’Antonino (3 dicembre 2007). L’inchiesta della magistratura, ancora in corso, evidenziato in modo lampante il clima di connivenze tra ditte e clan mafiosi, di reticenza e omertà dei tecnici e della classe politica e amministrativa, sorda ai richiami delle prefetture nei confronti dei sub appalti in favore di ditte a rischio. Anche le ditte del Nord si sono adeguate alla cultura ambientale addirittura più per convenienza che per paura di ritorsioni!
Impietosamente l’autore mostra le fotografie dei nostri paesi attraversati da questo“anaconda”; anche noi di Cariati sappiamo bene il caos cittadino che si genera, ad esempio, nelle due piazzette quando si chiudono i passaggi a livello e in molteplici altre occasioni di vita cittadina, ma soprattutto le tragedie che ci porteremo sempre sulla pelle e nel cuore. 
Sono di quelli che hanno una concezione aristotelica della politica come scienza della condotta collettiva, strumento di servizio; non c’è male che non ci coinvolga anche con nostre precise responsabilità. Platone afferma che chi si disinteressa della cosa pubblica deve poi accettare di essere governato da imbecilli e ignoranti. Ecco il vero male, l’ignoranza, la mancanza di etica. Da insegnante ho seguito per 35 anni le vicende della scuola pubblica… Scrive Silvia Avallone:
“Ho visto la scuola pubblica smantellata pezzo per pezzo, la ricerca agonizzare, l’università annichilirsi anno dopo anno (50.000 iscritti in meno quest’anno…) e in parallelo questo paese perdere grinta, ambizione, ridursi a una cartolina del passato in cui la cultura viene messa da parte in favore di non si sa bene quale scorciatoia. A una scuola pubblica peggiore corrisponde solo un paese peggiore”.
Siamo un paese di ignoranti? Un popolo di ignoranti potrà mai riscattarsi, sollevarsi dalla miseria economica e morale, dalla debolezza e fatiscenza delle sue infrastrutture?  Un linguista autorevole come Tullio De Mauro ci informa che“Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà; il 5% non è neppure n grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello”.
E di cosa ci parlano i politici calabresi in questi giorni di campagna elettorale? Della S.S. 106? Dell’emergenza rifiuti e della raccolta differenziata? Un altro editorialista, stavolta di Calabria Ora, in prima pagina intitola: “In Calabria si parla di niente…un bagno di genericità, un gigantesco depistaggio”
Il legame tra corruzione politica e ignoranza è altissimo. Vi consiglio di leggere un saggio molto incisivo di Roberto Ippolito, appena pubblicato da Chiarelettere: “Ignoranti – L’Italia che non sa, l’Italia che non va”, senza una strada, senza le strade, di ogni tipo, materiali, virtuali, intellettuali, politiche e amministrative.
Roberto Ippolito è un giornalista economico, badate bene; afferma: “Nel parlamento italiano la percentuale di laureati è scesa dal 901,4% della prima legislatura al 64,8% della quindicesima. Una flessione di 27 punti percentuali, in controtendenza con le altre democrazie; negli Stati Uniti i laureati al Congresso superano il 94%”. Volete che una classe politico-parlamentare che si avvia verso l’ignoranza più assoluta ci costruisca le strade? Riflettete bene. E come va nella Sanità? E nella giustizia? Non assistiamo giorno dopo giorno allo sterminio degli ospedali, dei tribunali e delle ferrovie? Non ci avviamo a essere un villaggio di disperati nel deserto? Non sopravvivranno solo i loro raccomandati? Gli orticelli elettorali di quelli che stupidamente ancora chiamiamo onorevoli? E una politica analfabeta impone al Paese un futuro di analfabetismo: “L’attacco continuo alla scuola pubblica ha prodotto la scuola con l’età media degli insegnanti più alta d’Europa. L’89,3% ha più di 40 anni, e i precari che li dovrebbero sostituire hanno esattamente quell’età media”. Chi ha voluto ferocemente tutto questo?
In un paese in cui tutti si riempiono la bocca di retorica mielosa per l’infanzia, troviamo il 47,5% delle scuole senza un certificato di idoneità statica, e solo il 24,8% a verifica di vulnerabilità sismica.Con quale faccia tosta poi assistiamo in tv alla scena ipocrita di ministri e premier che hanno affossato la scuola pubblica esibire la loro pietà ai funerali delle vittime per il crollo di edifici scolastici…
In ultimo: noi come ce la caviamo? Possiamo dire Io speriamo che me la cavo? Ippolito si diverte a imbandirci lautamente aneddoti e sciocchezze di giornalisti, deputati e ministri, di osannati campioni dello sport come Francesco Totti che afferma, mica per scherzo: “Io rispetto l’omofobia”… O i neutrini della Gelmini, ministro della pubblica istruzione, che hanno viaggiato in un tunnel di 730 km tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso, in un comunicato ufficiale del Ministero…
Non c’è da stupirsi: “Il numero di lettori fra i dirigenti, gli imprenditori e i professionisti in Germania e Francia è grosso modo il doppio” che in Italia (v. “L’Italia che legge”, di Giovanni Solimine, Laterza 2010).
E’ umiliante e mortificante dover ammettere il feeling tra cittadini e politici,sostanzialmentedeterminato dal comunesospetto per la cultura. Tanto è vero che Alessandra Mussolini non esita a proclamare  che  il nonno Benito ha fatto opere, mica libri; e Berlusconi, in tv da Giletti, ha affermato molto disinvoltamente che Mario Monti è umanamente gradevole, ma è un professore: colpa imperdonabile… Non scherza nemmeno Matteo Renzi quando parla dell’attualità di Dante specificando che Dante non è noioso come la spiegazione di un professore arrugginito.
Per ragioni vere, serie come queste l’antica Sibari, una delle città più magnifiche e ricche del mondo antico, i cui resti sono visibili dalla famigerata S.S. 106, è rimasta seppellita sotto 1500 metri cubi di fango che occorre rimuovere per liberare i 5 ettari del Parco archeologico. Chi è responsabile dell’esondazione che ha sommerso Sibari sotto 200mila metri cubi di acqua se non una politica incapace anche di erigere e rafforzare gli argini del fiume Crati? Chi manda al potere questa classe politica inetta e insensibile ai richiami della cultura, così ignorante da non capire l’infinita fonte di ricchezza che potrebbe essere costituita da Sibari sulla scia di Pompei?
Prendo dal bellissimo libro di Ippolito anche la similitudine con cui conclude l’argomento: “Tagliare il deficit riducendo gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo troppo carico togliendo il motore”. Non dobbiamo meravigliarci se l’aereo non decolla o precipita, se sulle strade e nelle scuole si muore, se la mafia prospera e un cittadino per curarsi deve percorrerela via crucis in un’ambulanza alla ricerca di un ospedale che lo accolga e lo curi. Al potere ci va chi abbiamo scelto, cioè i peggiori, abbiamo quello che ci meritiamo.
Rispetto e apprezzo l’epilogo escogitato da Fabio, in cui Fabrizio, il protagonista, muore di incidente stradale sulla S.S. 106 semplicemente e dolorosamente perché purtroppo tanti altri ne moriranno ed è inutile fare qui gli scongiuri. Non è con la superstizione che ne usciremo ma con una nuovagenerazione di politici e intellettuali che intenda la politica come educazione e servizio, ricostruisca la memoria, non intendo quella analitica come erudizione, repertorio, ma quella attiva che indichi ai giovani subito e concretamente le strategie di produzionesecondo modelli reali e nostri di sviluppo.
Pertanto, alla domanda che Fabio ha scelto provocatoriamente per il titolo del libro, “Chi è Stato?”, io rispondo altrettanto provocatoriamente: “E’ stato lo Stato, ma siamo stati anche noi!”

del Prof. Rocco Taliano Grasso

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