Ho letto con attenzione e malinconia,
anche perché mi sento parte in causa, il libro di Fabio Pugliese, questa Spoon River in chiave giornalistica della
strada statale 106 con il suo triste corollario di vittime che l’autore snoda
come un lungo doloroso rosario.
Mi chiedo cosa sia cambiato in
questi 150 anni di celebrata unità d’Italia e a quali uomini abbiamo delegato
la nostra rappresentanza, da destra a sinistra. E poiché ce n’è per tutti i
partiti, ne ho dedotto che il problema è evidentemente etico e culturale. Siamo
rappresentati cioè da gente generalmente e sostanzialmente indegna, che non ha
voluto bene a questa terra e tuttora non gliene vuole, che vuole bene soltanto
a se stessa e alle proprie rendite, in termini di poltrone e di soldi.
Etica e cultura sono
fondamentali, una volta la questione morale si poneva come primaria e
irrinunciabile, oggi è affidata a un pugno di magistrati eroi puntualmente
attaccati e delegittimati dal potere politico e dalla stampa servile e
snaturata.
Ora facciamo finta che ci
troviamo in campagna elettorale e che si parli di politica invece che di candidature,
Berlusconi, Bersani, Maroni, Rosy Bindi, Casini eccetera; suggerisco di parlare
del Sud, dei nostri gravi problemi, della strada statale 106 e del ruolo che la
nostra regione e il Sud potrebbero recitare nel contesto dei Paesi che gravitano
sul Mediterraneo, ma non il Mediterraneo delle immagini taroccate delle proloco
e degli assessorati, né quello degli spot della regione Calabria. Dico la
geografia vera, quella in cui si svolge e spesso langue la nostra vita, quella
della strada cosparsa da innumerevoli altari e fiori per ricordare i suoi e i
nostri morti.
A proposito della viabilità alle
soglie del XIX secolo, attenzione, alle soglie del XIX secolo, nel saggio Il Mezzogiorno preunitario: economia,
società e istituzioni (Dedalo edizioni), si riporta quanto scritto da Raffaele
De Cesare in un precedente saggio, La
fine di un regno (Città di Castello 1909):
“Avanti che si costruissero le strade rotabili, cioè fino ai primi anni
del secolo decimonono,si aveva l’abitudine di fare testamento prima di
intraprendere un viaggio a Napoli. Le grandi strade per le Calabrie, le Puglie,
gli Abruzzi, e per lo Stato Pontificio segnarono
una vera rivoluzione nel viaggiare…Le quattro grandi strade dette
<consolari> somigliavano a fiumi senza affluenti, per l’assenza quasi
assoluta di ogni viabilità locale…A dorso di bestie, o a piedi, si percorreva
quasi tutto il Regno delle Due Sicilie!”.
Viste le tante croci seminate sulla
SS 106, mi chiedo se non sia anche oggi il caso di far testamento prima di
mettersi in viaggio su questa strada…
Leggo nel racconto-inchiesta di
Fabio Pugliese:“Fabrizio prova
compassione per la Calabria, la vede come un’area depressa, rinsecchita, un
polmone al collasso, a cui vorrebbe offrire un po’ d’ossigeno.” Perché?
Il perché è detto con esaustività
di cifre, documenti e resoconti giornalistici nelle pagine precedenti: una
strada, cinquecento chilometri tra i più belli del Mediterraneo, che
Montezemolo ieri sabato, visitando la Callipo,
ha definito più belli e promettenti della Svizzera, costata però alla
Calabria centinaia di vite umane e di mutilati, una sorta di guerra continua
capace con le sue vittime di sfiancare anche in termini produttivi la nostra
regione. Si chiede il nostro Fabio quel che ci chiediamo tutti:
“Come è possibile che in Calabria, sul versante ionico, la principale
arteria di comunicazione sia la strada statale 106 Ionica? Come è possibile che
non esiste l’elettrificazione della rete ferroviaria e non c’è una vicinanza o
una facile percorribilità verso gli aeroporti più vicini?“
Una rete colabrodo che diventa
davvero “una proiezione più allungata di
se stesso, della sua tristezza, della sua desolazione…un simbolo
dell’isolamento e dell’emarginazione in cui è tenuto l’intero comprensorio
ionico calabrese”.
Come sapete, nella tragedia si
annida sempre la farsa, così l’ANAS si
permette pure di prenderci in giro convertendo motu proprio la 106 killer in itinerario internazionale, stradaE90…
Un simbolo, dunque. Come dire
che, non avendo una strada degna di questo nome, non può nemmeno esserci strada
per i nostri giovani, per nessuno, se non lontano da qui. Difatti sempre ieri
sabato sul “Quotidiano della Calabria”, in prima pagina per l’ennesima volta,
un editorialista si chiede:
“E’ difficile per un ragazzo resistere alla tentazione di andarsene
dalla Calabria. Forse si tratta piuttosto di un impulso, causato da ribrezzo,,
timore, senso della realtà. Il lavoro è un miraggio, nella nostra terra. Uno
fatica per diventare medico, avvocato, commercialista, farmacista o ingegnere.
Poi prende il titolo e non sa dove sbattere la testa. Di solito comincia con i
conoscenti, chiede, s’informa, si propone. Il mercato, si ripete, è saturo.”
Ieri a Trapani, sempre Sud, stessi
problemi, stesse tragedie, l’ultimo suicidio di un operaio rimasto disoccupato;
ha scritto: “Lo faccio perché senza lavoro
non c’è dignità” e ha infilato il biglietto nella Costituzione, alla pagina
del primo articolo in cui si recita che l’Italia è una repubblica fondata sul
lavoro…
Il simbolo di questa pianta
carnivora si incarna in un luogo simbolico, il Parco 106, creato a Badolato per commemorare con un albero le
vittime della strada, iniziativa che rievoca quella di Crotone delle 200 croci
con fiori e rosari piantate nei pressi del monumento ai fratelli Bandiera.
Ma Fabio fa di più. Ci racconta e
documenta le assillanti e puntuali infiltrazioni mafiose nei lavori di
ammodernamento di questa strada che culminano nel crollo della galleria
Sant’Antonino (3 dicembre 2007). L’inchiesta della magistratura, ancora in
corso, evidenziato in modo lampante il clima di connivenze tra ditte e clan
mafiosi, di reticenza e omertà dei tecnici e della classe politica e
amministrativa, sorda ai richiami delle prefetture nei confronti dei sub
appalti in favore di ditte a rischio. Anche le ditte del Nord si sono adeguate
alla cultura ambientale addirittura
più per convenienza che per paura di ritorsioni!
Impietosamente l’autore mostra le
fotografie dei nostri paesi attraversati da questo“anaconda”; anche noi di
Cariati sappiamo bene il caos cittadino che si genera, ad esempio, nelle due
piazzette quando si chiudono i passaggi a livello e in molteplici altre
occasioni di vita cittadina, ma soprattutto le tragedie che ci porteremo sempre
sulla pelle e nel cuore.
Sono di quelli che hanno una
concezione aristotelica della politica come scienza della condotta collettiva,
strumento di servizio; non c’è male che non ci coinvolga anche con nostre
precise responsabilità. Platone afferma che chi si disinteressa della cosa
pubblica deve poi accettare di essere governato da imbecilli e ignoranti. Ecco il
vero male, l’ignoranza, la mancanza di etica. Da insegnante ho seguito per 35
anni le vicende della scuola pubblica… Scrive Silvia Avallone:
“Ho visto la scuola pubblica smantellata pezzo per pezzo, la ricerca
agonizzare, l’università annichilirsi anno dopo anno (50.000 iscritti in meno
quest’anno…) e in parallelo questo paese perdere grinta, ambizione, ridursi a
una cartolina del passato in cui la cultura viene messa da parte in favore di
non si sa bene quale scorciatoia. A una scuola pubblica peggiore corrisponde
solo un paese peggiore”.
Siamo un paese di ignoranti? Un
popolo di ignoranti potrà mai riscattarsi, sollevarsi dalla miseria economica e
morale, dalla debolezza e fatiscenza delle sue infrastrutture? Un linguista autorevole come Tullio De Mauro
ci informa che“Il 71% della popolazione
si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo
scritto in italiano di media difficoltà; il 5% non è neppure n grado di
decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce a decifrare solo
testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di
regressione nell’analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo
livello”.
E di cosa ci parlano i politici
calabresi in questi giorni di campagna elettorale? Della S.S. 106?
Dell’emergenza rifiuti e della raccolta differenziata? Un altro editorialista,
stavolta di Calabria Ora, in prima
pagina intitola: “In Calabria si parla di
niente…un bagno di genericità, un gigantesco depistaggio”…
Il legame tra corruzione politica
e ignoranza è altissimo. Vi consiglio di leggere un saggio molto incisivo di
Roberto Ippolito, appena pubblicato da Chiarelettere: “Ignoranti – L’Italia che non sa, l’Italia che non va”, senza una
strada, senza le strade, di ogni tipo, materiali, virtuali, intellettuali, politiche
e amministrative.
Roberto Ippolito è un giornalista
economico, badate bene; afferma: “Nel
parlamento italiano la percentuale di laureati è scesa dal 901,4% della prima
legislatura al 64,8% della quindicesima. Una flessione di 27 punti percentuali,
in controtendenza con le altre democrazie; negli Stati Uniti i laureati al
Congresso superano il 94%”. Volete che una classe politico-parlamentare che
si avvia verso l’ignoranza più assoluta ci costruisca le strade? Riflettete
bene. E come va nella Sanità? E nella giustizia? Non assistiamo giorno dopo
giorno allo sterminio degli ospedali, dei tribunali e delle ferrovie? Non ci
avviamo a essere un villaggio di disperati nel deserto? Non sopravvivranno solo
i loro raccomandati? Gli orticelli elettorali di quelli che stupidamente ancora
chiamiamo onorevoli? E una politica analfabeta impone al Paese un futuro di
analfabetismo: “L’attacco continuo alla
scuola pubblica ha prodotto la scuola con l’età media degli insegnanti più alta
d’Europa. L’89,3% ha più di 40 anni, e i precari che li dovrebbero sostituire
hanno esattamente quell’età media”. Chi ha voluto ferocemente tutto questo?
In un paese in cui tutti si
riempiono la bocca di retorica mielosa per l’infanzia, troviamo il 47,5% delle
scuole senza un certificato di idoneità statica, e solo il 24,8% a verifica di
vulnerabilità sismica.Con quale faccia tosta poi assistiamo in tv alla scena
ipocrita di ministri e premier che hanno affossato la scuola pubblica esibire
la loro pietà ai funerali delle vittime per il crollo di edifici scolastici…
In ultimo: noi come ce la
caviamo? Possiamo dire Io speriamo che me
la cavo? Ippolito si diverte a imbandirci lautamente aneddoti e sciocchezze
di giornalisti, deputati e ministri, di osannati campioni dello sport come
Francesco Totti che afferma, mica per scherzo: “Io rispetto l’omofobia”… O i
neutrini della Gelmini, ministro della pubblica istruzione, che hanno viaggiato
in un tunnel di 730 km tra il Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso, in
un comunicato ufficiale del Ministero…
Non c’è da stupirsi: “Il numero di lettori fra i dirigenti, gli
imprenditori e i professionisti in Germania e Francia è grosso modo il doppio” che
in Italia (v. “L’Italia che legge”, di Giovanni Solimine, Laterza 2010).
E’ umiliante e mortificante dover
ammettere il feeling tra cittadini e politici,sostanzialmentedeterminato dal
comunesospetto per la cultura. Tanto è vero che Alessandra Mussolini non
esita a proclamare che il
nonno Benito ha fatto opere, mica libri; e Berlusconi, in tv da Giletti, ha
affermato molto disinvoltamente che Mario
Monti è umanamente gradevole, ma è un professore: colpa imperdonabile… Non
scherza nemmeno Matteo Renzi quando parla dell’attualità di Dante specificando
che Dante non è noioso come la
spiegazione di un professore arrugginito.
Per ragioni vere, serie come
queste l’antica Sibari, una delle città più magnifiche e ricche del mondo
antico, i cui resti sono visibili dalla famigerata S.S. 106, è rimasta
seppellita sotto 1500 metri cubi di fango che occorre rimuovere per liberare i 5
ettari del Parco archeologico. Chi è responsabile dell’esondazione che ha
sommerso Sibari sotto 200mila metri cubi di acqua se non una politica incapace
anche di erigere e rafforzare gli argini del fiume Crati? Chi manda al potere
questa classe politica inetta e insensibile ai richiami della cultura, così
ignorante da non capire l’infinita fonte di ricchezza che potrebbe essere costituita
da Sibari sulla scia di Pompei?
Prendo dal bellissimo libro di
Ippolito anche la similitudine con cui conclude l’argomento: “Tagliare il deficit riducendo gli
investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo
troppo carico togliendo il motore”. Non dobbiamo meravigliarci se l’aereo
non decolla o precipita, se sulle strade e nelle scuole si muore, se la mafia
prospera e un cittadino per curarsi deve percorrerela via crucis in
un’ambulanza alla ricerca di un ospedale che lo accolga e lo curi. Al potere ci
va chi abbiamo scelto, cioè i peggiori, abbiamo quello che ci meritiamo.
Rispetto e apprezzo l’epilogo
escogitato da Fabio, in cui Fabrizio, il protagonista, muore di incidente
stradale sulla S.S. 106 semplicemente e dolorosamente perché purtroppo tanti
altri ne moriranno ed è inutile fare qui gli scongiuri. Non è con la
superstizione che ne usciremo ma con una nuovagenerazione di politici e
intellettuali che intenda la politica come educazione e servizio, ricostruisca
la memoria, non intendo quella analitica come erudizione, repertorio, ma quella
attiva che indichi ai giovani subito e concretamente le strategie di produzionesecondo
modelli reali e nostri di sviluppo.
Pertanto, alla domanda che Fabio
ha scelto provocatoriamente per il titolo del libro, “Chi è Stato?”, io rispondo altrettanto provocatoriamente: “E’
stato lo Stato, ma siamo stati anche noi!”
del Prof. Rocco Taliano Grasso
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