sabato 2 marzo 2013

Un articolo che un calabrese non può non leggere!



Dopo le ultime elezioni, ormai entrati nel post-voto per il governo nazionale, vorrei sottoporvi questo splendido articolo scritto da un meridionale. Luigi Chiarello, l'autore, nel suo articolo lucido ed intellettualmente onesto, ci racconta SS 106 e delle decennali promesse che al suo ammodernamento sono legate...



Agli elettori calabresi promesse mai mantenute
 di Luigi Chiarello  

Spero, promitto e iuro reggono l'infinito futuro: chi ha studiato il latino ricorderà questo stornello grammaticale.
Partiamo con «spero»: sperare è da sempre il sentimento più forte dei meridionalisti. Speranza è la scintilla che scorgi di sfuggita negli occhi a mezz'asta dei «terroni». Degli emigranti come me, «saliti giù al Nord» per guadagnarsi la pagnotta. Speranza di tornare, di un riscatto del Mezzogiorno, di liberazione dal giogo clientelare. Sperare che le politiche di sviluppo e l'apertura dei mercati squarcino i muraglioni delle dinamiche feudali. Speranza, che un bel giorno Roma rompa gli indugi e reinvesta nella sua appendice mediterranea. Non fosse altro che per sfruttare quella chance inimitabile che la natura ci ha servito su una guantiera: fare dello Stivale un ponte insostituibile, capace di collegare i bazar dell'Africa con gli ipermercati europei. I portafogli dei turisti con le meraviglie del Meridione. I capitali d'impresa con le potenzialità del Sud.
Il secondo verbo è «promitto»: promettere è ciò che gli elettori sentono da sempre in campagna elettorale. In Calabria, questo verbo si coniuga con promesse di sviluppo, occupazione, infrastrutturazione. Che poi degenerano in promesse di favori, scorciatoie, assunzioni inutili a carico delle casse pubbliche. Promesso da decenni è l'ammodernamento della strada della morte, la statale 106, unica arteria della dorsale jonica, larga al massimo 10 metri, su cui transita tutto il traffico su gomma tra Taranto e Reggio Calabria. Promesso è il ripristino dei treni notte Nord-Sud per aree come Crotone, Catanzaro e Sibaritide, orfane di collegamenti. Promessa è la bonifica del polo chimico di Crotone chiuso da decenni, della fine dei lavori sulla Salerno-Rc, dell'ennesimo aeroporto da costruire a Sibari, mentre si chiude lo scalo di Crotone per mancanza di fondi. Infine c'è la promessa più grande: il Ponte sullo stretto. L'opera dei sogni, capace di unire la Sicilia al Continente. Scilla a Cariddi. Eterno specchietto per allodole di ogni tornata elettorale, il cui unico fine sembra essere lo spreco di soldi pubblici per pagare progettazioni, onerose penali (600 mln di euro) e società-postificio.
Infine, il terzo verbo, «iuro». La nostra Costituzione all'articolo 3 giura e spergiura che è compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
In Magna Grecia lo sanno bene. La speranza è disincanto, la promessa raggiro, il giuramento sberleffo. La dove l'aggettivo «magnus» (grande) viene con sarcasmo declinato in un più prosaico «magna magna», la presenza dello Stato è assimilata ancora oggi all'esattore delle tasse. O al gendarme che reprime i deboli a tutela dei signori.
Una riprova? In Calabria l'ultimo risultato elettorale è una cartina di tornasole: il Pdl, cioè l'establishment, vince le elezioni. L'icona Berlusconi trionfa e Scilipoti è il suo profeta. Il maestro dello scounting, additato al pubblico ludibrio, trova nella regione la sua Mecca. E annuncia che aprirà un ufficio, un punto d'ascolto degli elettori per risolvere i loro problemi. Bontà sua.
Il Pd riesce a far eleggere la territorialmente radicata Rosy Bindi. Ma anche il maestro delle primarie, Nico Stumpo e Marco Minniti, entrambi grand commis dell'apparatchik Pci-Pds-Ds-Pd, le cui azioni rappresentative, siam pronti a scommetterci, hanno avuto grandi ricadute sul territorio d'elezione.
Il Movimento Cinque Stelle, invece, è il primo partito, raccoglie i voti della protesta e elegge tra i suoi un giovane che si chiama Paolo Parentela. Speriamo non sia preludio di familismo, in bocca al lupo!
I tre partiti si spartiscono l'elettorato in parti quasi uguali. I margini di differenza sono minimi. A riprova di un corpo elettorale frastornato, diviso tra logiche clientelari e rivendicazioni ribelliste (spesso autolesioniste), incapace di rotta condivisa.
In Magna Grecia il latinorum lo conoscono bene: sanno che spero, promitto e iuro reggono l'infinito futuro. Anche se a pronunciarli è lo stato.
Quindi, con un giochino verbale, val bene ricordarlo: poiché chi vuol mangiare la noce ne deve rompere il guscio (nuce nuculeum esse volt, frangit nucem), visto che le leggi sono moltissime quando lo stato è corrottissimo (corruptissima republica plurimae leges), converrà sempre cogliere l'attimo, confidando il meno possibile nel futuro (carpe diem et quam minimum credula posero). Anche perché, si sa: mieterai a seconda di ciò che hai seminato (ut sementem feceri ita metes). Quindi, val sempre la pena di osare (memento audere semper). E sebbene non ci sia niente di più facile che parlare (nil est dictu facilius) e, si senta sempre dire che la volpe cambia il pelo, non le abitudini (vulpem pilum mutare, non mores) _ a volte da una scintilla scoppia un incendio (accidere ex una scintilla incendia passim).

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