Dopo le ultime elezioni, ormai
entrati nel post-voto per il governo nazionale, vorrei sottoporvi questo
splendido articolo scritto da un meridionale. Luigi Chiarello, l'autore, nel suo articolo lucido ed intellettualmente onesto, ci racconta SS 106 e delle decennali promesse che al suo ammodernamento sono legate...
Agli elettori calabresi promesse mai mantenute
di
Luigi Chiarello
Spero,
promitto e iuro reggono l'infinito futuro: chi ha studiato il latino ricorderà
questo stornello grammaticale.
Partiamo con
«spero»: sperare è da sempre il sentimento più forte dei meridionalisti.
Speranza è la scintilla che scorgi di sfuggita negli occhi a mezz'asta dei
«terroni». Degli emigranti come me, «saliti giù al Nord» per guadagnarsi la
pagnotta. Speranza di tornare, di un riscatto del Mezzogiorno, di liberazione
dal giogo clientelare. Sperare che le politiche di sviluppo e l'apertura dei
mercati squarcino i muraglioni delle dinamiche feudali. Speranza, che un bel
giorno Roma rompa gli indugi e reinvesta nella sua appendice mediterranea. Non
fosse altro che per sfruttare quella chance inimitabile che la natura ci ha
servito su una guantiera: fare dello Stivale un ponte insostituibile, capace di
collegare i bazar dell'Africa con gli ipermercati europei. I portafogli dei
turisti con le meraviglie del Meridione. I capitali d'impresa con le
potenzialità del Sud.
Il secondo
verbo è «promitto»: promettere è ciò che gli elettori sentono da sempre in
campagna elettorale. In Calabria, questo verbo si coniuga con promesse di sviluppo,
occupazione, infrastrutturazione. Che poi degenerano in promesse di favori,
scorciatoie, assunzioni inutili a carico delle casse pubbliche. Promesso da
decenni è l'ammodernamento della strada della morte, la statale 106, unica
arteria della dorsale jonica, larga al massimo 10 metri, su cui transita tutto
il traffico su gomma tra Taranto e Reggio Calabria. Promesso è il ripristino
dei treni notte Nord-Sud per aree come Crotone, Catanzaro e Sibaritide, orfane
di collegamenti. Promessa è la bonifica del polo chimico di Crotone chiuso da
decenni, della fine dei lavori sulla Salerno-Rc, dell'ennesimo aeroporto da
costruire a Sibari, mentre si chiude lo scalo di Crotone per mancanza di fondi.
Infine c'è la promessa più grande: il Ponte sullo stretto. L'opera dei sogni,
capace di unire la Sicilia al Continente. Scilla a Cariddi. Eterno specchietto
per allodole di ogni tornata elettorale, il cui unico fine sembra essere lo
spreco di soldi pubblici per pagare progettazioni, onerose penali (600 mln di
euro) e società-postificio.
Infine, il
terzo verbo, «iuro». La nostra Costituzione all'articolo 3 giura e spergiura
che è compito della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese».
In Magna
Grecia lo sanno bene. La speranza è disincanto, la promessa raggiro, il
giuramento sberleffo. La dove l'aggettivo «magnus» (grande) viene con sarcasmo
declinato in un più prosaico «magna magna», la presenza dello Stato è
assimilata ancora oggi all'esattore delle tasse. O al gendarme che reprime i
deboli a tutela dei signori.
Una riprova?
In Calabria l'ultimo risultato elettorale è una cartina di tornasole: il Pdl,
cioè l'establishment, vince le elezioni. L'icona Berlusconi trionfa e Scilipoti
è il suo profeta. Il maestro dello scounting, additato al pubblico ludibrio,
trova nella regione la sua Mecca. E annuncia che aprirà un ufficio, un punto
d'ascolto degli elettori per risolvere i loro problemi. Bontà sua.
Il Pd riesce
a far eleggere la territorialmente radicata Rosy Bindi. Ma anche il maestro
delle primarie, Nico Stumpo e Marco Minniti, entrambi grand commis
dell'apparatchik Pci-Pds-Ds-Pd, le cui azioni rappresentative, siam pronti a
scommetterci, hanno avuto grandi ricadute sul territorio d'elezione.
Il Movimento
Cinque Stelle, invece, è il primo partito, raccoglie i voti della protesta e
elegge tra i suoi un giovane che si chiama Paolo Parentela. Speriamo non sia
preludio di familismo, in bocca al lupo!
I tre
partiti si spartiscono l'elettorato in parti quasi uguali. I margini di
differenza sono minimi. A riprova di un corpo elettorale frastornato, diviso
tra logiche clientelari e rivendicazioni ribelliste (spesso autolesioniste),
incapace di rotta condivisa.
In Magna
Grecia il latinorum lo conoscono bene: sanno che spero, promitto e iuro reggono
l'infinito futuro. Anche se a pronunciarli è lo stato.
Quindi, con
un giochino verbale, val bene ricordarlo: poiché chi vuol mangiare la noce ne
deve rompere il guscio (nuce nuculeum esse volt, frangit nucem), visto che le
leggi sono moltissime quando lo stato è corrottissimo (corruptissima republica
plurimae leges), converrà sempre cogliere l'attimo, confidando il meno
possibile nel futuro (carpe diem et quam minimum credula posero). Anche perché,
si sa: mieterai a seconda di ciò che hai seminato (ut sementem feceri ita
metes). Quindi, val sempre la pena di osare (memento audere semper). E sebbene
non ci sia niente di più facile che parlare (nil est dictu facilius) e, si
senta sempre dire che la volpe cambia il pelo, non le abitudini (vulpem pilum
mutare, non mores) _ a volte da una scintilla scoppia un incendio (accidere ex
una scintilla incendia passim).
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